Vassilij Grossman,
Vita e destino
Introduzione di Efim Etkind
trad. it. di C. Bongiorno
Jaka Book, Milano 1984, pp. 864
Collana “Mondi letterari”, giugno 2005
Grossman sembra egli stesso protagonista di un romanzo. Nato a Bardicev nel 1905 percorre tutta la carriera di giornalista di regime e come tale viene mandato al seguito dell’Armata Rossa con la quale giunge fino a Berlino. Divenuto ufficiale è a Treblinka dove assiste ed è attivo negli interrogatori dei carcerieri nazisti catturati e dei prigionieri sopravvissuti. I verbali di questi interrogatori saranno assunti come documenti probanti dal tribunale di Norimberga.
Tornato in patria si dà alla scrittura e avrebbe voluto comporre una sorta di trilogia sugli uomini assoggettati e schiacciati dalla guerra. Nel 1952 compare Per una giusta causa dove ancora una volta si manifesta scrittore di regime. Comincia subito la scrittura di Vita e destino già però con una visione della vita abbastanza distante dal sovietismo imperante. Le persecuzioni antiebraiche, i gulag e i processi di stampo staliniano non gli permettono di essere ancora consenziente.
Vita e destino è un affresco dell’Urss a cavallo tra guerra nazista sterminatrice e purghe staliniane. Vi è un anelito alla felicità che definisce le ragioni dell’esistenza dell’uomo anche nelle più drammatiche esperienze esistenziali e l’autore stesso, nell’inferno della battaglia di Stalingrado, scopre come l’uomo sia irriducibile a qualsiasi forma di potere. Esalta la vita nella sua forma pura e semplice e la scopre nei gesti di ogni uomo anche «in questa galera dove si dà la stella di eroe per uccidere più gente possibile». “Il destino” poi è il futuro della vita che tende alla felicità e forse per questo la fine del libro è incompiuta. Ma la speranza viene ad identificarsi nella stessa superstite della famiglia Saposnikov (Alexandra Vlademirovna) e la comunica direttamente a noi: «qualunque cosa li attenda […] essi vivranno da uomini e da uomini morranno: proprio in questo consiste per l’eternità l’amara vittoria umana su tutte le forze maestose e disumane che ci sono state e ci saranno nel mondo.»
Il libro, per questi messaggi e per le descrizioni crude dei prigionieri ebrei e dello sfacelo morale lasciato dalla guerra, non piace al KGB che lo sequestra nel 1961 e solo circa dopo vent’anni dalla morte dell’autote (1964) il libro vedrà la luce in Occidente (1980).
Nel 1970 era stato pubblicato Tutto scorre in cui sono raccontate le vicende dei kulaki oppressi. Vita e destino diventerà rappresentazione teatrale, al Piccolo di Milano dal 13 al 16 febbraio 2008, sotto la regia di Lev Dodin.